FOTOGRAFI

Francesco Cito


Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. Per sopravvivere nella capitale britannica degli anni 70,  si adatta ai più svariati mestieri, dal lavapiatti in un ristorante in King's Road, al facchino dei Magazzini Harrod's.

L' inizio in campo fotografico, 1975, avviene con l' assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.), per esso gira l' Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag, il quale gli dedica la prima copertina per il reportage "La Mattanza". Successivamente collabora anche con L'Observer mag. 

Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i Sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.

Nel 1982 - 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 aveva realizzato per The Sunday Times mag.  un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell'organizzazione contrabbandiera.

Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese dal settimanale Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi, del leader pro siriano Abu Mussa, e del nazionalista fondatore di Al-Fatah, (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E' l'unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989. 

Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank  (Cisgiordania)  e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima "Intifada" 1987 - 1993 e la seconda 2000 - 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il settimanale tedesco "Stern"  un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell'aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco e posta sotto assedio per 40 giorni dallo esercito Israeliano "Tzahal" come anche le altre città amministrate dal Governo dell'Autonomia Palestinese.

Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e clandestinamente ancora a seguito dei "Mujahiddin" per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l'intento di incontrare Osama Bin Laden. Incontro mai avvenuto a causa l'inizio dei bombardamenti americani.

Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" a seguito del primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell'operazione  "Desert Storm" e la liberazione del Kuwait  27 - 28 febbraio 1991.

Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici. 

In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea.

Dal 1997 l' obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro. 

Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.

Dal 2005 al 2011, sempre in Palestina realizza il suo lavoro nelle varie fasi della costruzione del "Muro d'Israele" e contemporaneamente si dedica nel' illustrare lle condizioni  dei bambini palestinesi affetti da problemi di sordità. Entrambe le storie sono state esposte in mostre fotografiche, come altresì il lavoro ancora in fase di realizzazione, sul tema del "Coma", le vite sospese. 

 

 

1995  il World Press Photo gli conferisce il terzo premio Day in the Life per il                        

  "Neapolitan Wedding story "                                                    

1996  il World Press Photo gli conferisce il primo premio per il Palio di Siena. 

1997  l'Istituto Abruzzese per la storia d'Italia contemporanea, gli conferisce il                            premio  "Città di Atri" per  l'impegno del suo lavoro sulla Palestina. 

2001  il Leica Oskar Barnak Award lo segnala con una Menzione d'Onore per il    reportage "Sardegna" 

2004  riceve il premio Città di Trieste per il Reportage. I° edizione 

2005  riceve il premio: La fibula d'oro, a Castelnuovo Garfagnana (LU) 

2005  riceve il premio " Werner Bischof " Il flauto d'argento ad Avellino 

2006, l'associazioni FIAF lo insigna del titolo "Maestro della fotografia italiana. 

2006  vince il premio Bariphotocamera 

2007  riceve il premio Benevento

2009  vince il premio San Pietroburgo (Russia)

2009  insignito del premio Antonio Russo per il reportage di guerra, (Pescara)          

 

 

Ha collaborato e pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e straniere: 

Epoca, l'Europeo, Illustrazione Italiana, Oggi, Gente, Panorama, L'Espresso, Il 

Venerdì di Repubblica, Sette-Corriere della Sera, D donna, io Donna, Stern, 

Frankfurten Allegmain Mag, Die Zeit magazine, Sunday Times magazine The 

Obrsever magazine, The Indipendent magazine, Paris Match, Figaro magazine, 

Life, etc etc.

 

Mostre fotografiche:

 

 

"Iconoclastia" Casa Vestita, Grottaglie (TA) 2014

"Coma" Palazzo Civico, Sala della Ragione, Asolo 2013

"Afghanistan" Citerna Fotografia, Citerna 2013

"Coma" Citerna Fotografia, Citerna 2013

"Coma" Villa Pignatelli, Napoli 2012

"Coma" Vite Sospese, Potenza Picena 2012

"Il Palio" Photò 19, Brescia 2012

"Effeta" Bethlehem, Bergamo Opera Diocesana 2011

Il Muro d'Israele, Castello Ducale, Corigliano Calabro 2011

In Viaggio, Palazzo Quadrio Curzio, Tirana 2011

L'Isola al di la dal mare, Torre Viscontea, Lecco 2010

Cartoline napoletane, Medphotofestival, Catania 2010

Francesco Cito "photographer." Wavephotogallery, Brescia 2010

Da culla alla morte, Central Hall Manegge, San Pietroburgo 2009

Tutto CITO, Galeria Zoom, Paraty em foco. Paraty, Brasile 2008

Oltre lo sguardo, Palazzo del comune, Altidona, Fermo  2008

Cartoline napoletane, Altidona Fermo  2008 

Afghanistan, Foiano della Chiana 2008

Vedi Napoli e...... La Cancellata, Staffolo, Ancona 2008

Palestina, Galleria ACTA International, Roma 2008

Matrimoni Napoletani, Scuderie Medicee, Seravezza, Lucca

Sulla Terra chiamata Palestina, Centro BCC, Ghedi - Brescia 2008

Barche, pescatori e pesci, FNAC Torino 2008

Sulla Terra chiamata Palestina, Castello di Montecchio, Reggio Emilia 2008

Isola Sakhalin-Russia, Museo Nazionale, Yuzno Sakhalinsky 2008

Frammenti di Guerra, Centro Civico, Palau 2007

Una Calda Estate a Corigliano, Castello ducale, Corigliano Calabro 2007

Barche, pescatori e pesci, FNAC Napoli 2007

Frammenti di Guerra, Ist. Italiano Studi Filosofici, Napoli 2007

Barche, pescatori e pesci,  Sala Murat, Bari 2006

Sulla terra chiamata Palestina, Palazzo Novellucci, Prato 2006

Sulla terra chiamata Palestina, Comprensorio del Gasometro, Roma 2006

Palestina, Saronno 2006

L'isola al di la dal mare, Palazzo Crepadona, Belluno 2006

Sulla Terra Chiamata Palestina, Conegliano Veneto 2006

Frammenti di guerra, Palazzo della Provincia, Avellino 2005

Palestina, Centro le Zitelle, La Giudecca, Venezia 2005

Palestina, Castelnuovo Garfagnana (Lucca) 2005

Immagini come parole, Galleria Bel Vedere, Milano 2005

Il Palio, Chiesina dell’Ospedale, Meldola 2005 

Frammenti di guerra, Palazzo Pubblico, Borgo Valsugana 2004

Il Palio, Fincantieri-Wärtsilä BFI,  Trieste 2004

Matrimoni Napoletani, Castello, Massa Marittima 2004

L'isola al di la del mare,  Castello di San Michele, Cagliari 2004

Sardegna,  Book-messe, Francoforte 2004

Palestina 1987-2002,  Sala Duce Palazzo Ducale, Sassari 2003

Frammenti di guerra, Galleria Cascina Grande, Rozzano (MI) 2003

Occhi della guerra,  Stazione marittima, Trieste 2003

Piazza del Campo,  Magazzini del Sale-Palazzo Pubblico, Siena 2003

Matrimoni Napoletani,  Central Hall Manegge, San Pietroburgo 2003

L’isola al di là del mare,  Masedu-Museo Arte Contemporanea, Sassari 2003

Matrimoni napoletani,  Palazzo Frisacco, Tolmezzo 2002      

Piazze d’Italia,  Berlino 2002

Palestina 1987-1997,  Exmà, Cagliari 2002

The Palio,  Studio Gallery, London 2002

Palestina,  Galleria Archivio Fotografico Toscano, Prato 2000

Gli occhi della guerra,  Scavi Scaligeri, Verona 2000

Afghanistan,  Galleria Cascina Grande, Rozzano (Mi) 1999

Matrimoni napoletani,  Chiesina dell’Ospedale, Meldola 1999

Matrimoni napoletani,  Fortezza da Basso, Firenze 1998

Occhi che raccontano,  Galleria San Fedele, Milano 1997

Matrimoni napoletani,  Galleria Franca Speranza, Milano 1997

Immagini dal 1980 al 1996,  Galleria Cascina Grande, Rozzano (Mi) 1996

Palestina,  Chiesina dell’Ospedale, Meldola 1996

Palestina anno zero,  Galleria Il Diaframma, Milano 1994

Gulfwar Fotogiornalismo oggi,  Palazzo Galasso, Trento 1993

Palestina,  World Council of Professional Photographers 1988/89

Palestina: il dramma di due popoli,  Galleria IF, Milano 1989

Naples: Camorra,  Festival de la photo, Perpignan (France) 1989

Israele:  I fotografi del Venerdì di Repubblica, Galleria Il Diaframma, Milano 1988

Palio,  Palazzo Pubblico, Siena 1988

Mostra collettiva,  EXPO Bari, 1987

Napoli ieri oggi domani,  Sicof , Milano 1987

Naples,  Istituto italiano di Cultura,  Rio de Janeiro (Brasil) 1987

Chi troppo, chi niente,  Palazzo Civico, Genova 1986

Il fotoreportage,  Palazzo Civico, Teolo (PD) 1986

Naples,  Universitad Popular - Casa de Cultura Puebla, Mexico 1986

Mattanza,  Palazzo Dugnani, Milano 1983

Afganistan,  Palazzo Lanfranchi, Pisa 1983

Afganistan,  Galleria Il Diaframma, Milano 1982

Opera

Testo scritto da Carlo Verdelli:

"Secondo Ferdinando Scianna, Francesco Cito è uno dei migliori fotogiornalisti italiani. Per quanto possa sembrare blasfemo o paradossale, asciugherei di quattro lettere il solenne encomio: Francesco Cito è uno dei migliori giornalisti italiani. Ho tolto “foto”, quattro lettere appunto, e proverò a spiegare il perché di questa apparente provocazione.

Che Cito Francesco, nato a Napoli il 5 maggio 1949, 65 anni, capelli lunghi, barba rada e baffi folti che si pizzica spesso con indice e medio, tanto spesso da essere diventato un tic, sia un grande fotografo, e con una lunga e onoratissima carriera a cui giustamente questa mostra rende omaggio, è come dire che Maradona è stato un asso del calcio o Paolo Sorrentino un regista da Oscar (cito due tra mille per “napoletanità”).

Si sa che Cito è un fotografo, ci sono a testimoniarlo 40 anni di lavoro, di scatti, di immagini pubblicate ovunque in Italia, ma anche fuori: Sunday Times Magazine, Observer, Stern, Figaro, Paris Match, Life.

Ci sono i reportage che l’hanno reso celebre e premiato, come quello, indimenticabile, sui matrimoni napoletani o quell’altro sulla follia e la folla folle del Palio di Siena, che gli ha procurato un gradito primo posto al World Press Photo del 1996. O ancora, il lungo lavoro sui contrabbandieri napoletani, e lungo vuol dire mesi di frequentazione ininterrotta dell’area di Santa Lucia, irruzioni insieme alla polizia, viaggi sui motoscafi dei pirati del mare: ha un valore speciale, per Cito, è stato il suo debutto nel mondo della foto che conta e racconta, pubblicazione sul Sunday Times Magazine, ovvero il varo con bottiglia di champagne dell’avventura. Non aggiungo all’elenco il paziente e pericoloso lavoro sulla camorra: essendo Cito un fotografo “anche” di denuncia, va da sé che nel suo e nostro album ci sia, e ci sta pure che questo reportage abbia fatto storia.

Naturalmente, nella “Cito’s way”, ci sono i viaggi dove la terra brucia, e si farebbe più in fretta a dire dove Cito non è andato. Immaginate la mappa delle guerre e del dolore dagli anni Ottanta in avanti (dall’Afghanistan al Libano, ai territori della Palestina, dal Kosovo alla Bosnia all’Arabia post invasione del Kuwait, da Beirut a Sarajevo, dalle trincee estreme alle città ugualmente estreme): immaginate la mappa e lo ritroverete, lo troverete sempre, un puntino con una specie di giubbotto verde militare addosso, a muoversi tra macerie, morti e sopravvissuti con l’invisibilità di un angelo. “Invisibilità di un angelo” può sembrare una espressione retorica e magari anche impropria per una persona che nei tratti corporali non ha granché di angelico. Eppure è una definizione che ha una sua verità.

Al netto della tecnica e della filosofia estetica, il lavoro di Cito si muove su tre coordinate: fatica, vicinanza, rispetto. Per raccontare una storia, quale che sia, devi entrarci dentro. E per entrarci dentro, non basta bussare a caso. Bisogna avere la pazienza di girarci intorno, trovare la chiave giusta che quasi mai è la prima che ti capita a tiro, stancarsi le gambe e gli occhi e la testa a furia di muoversi, vedere, osservare, provare a capire.

Ecco la fatica.

Poi devi andare dentro, accorciare il più possibile le distanze, prenderti i rischi del caso, nelle situazioni a rischio, oppure prendere le contromisure indispensabili, nei casi (chiamiamoli così) di varia umanità, per non invadere con la tua presenza lo spirito della scena. Ecco la vicinanza.

E poi c’è il rispetto, che è una categoria che non si impara né che ci si impone attraverso una disciplina o una tecnica. Il rispetto ce l’hai dentro e lo coltivi, magari lo affini crescendo, ma non lo puoi comprare. Qualunque foto di Francesco Cito, anche la più tremenda e tragica, è segnata dal rispetto, quale che sia l’oggetto messo nel mirino. Persino nella sua immagine forse più estrema, un uomo con il mitra a tracolla che esibisce la testa mozzata di un nemico in Afghanistan, c’è tutto l’orrore immobile del sangue versato ma, insieme, neanche un’ombra di compiacimento o di esibizione sconcia. E’ sconcia la guerra, non la foto che ne ferma una scheggia, per quanto inumana.

Non a caso, in una delle sue non frequentissime interviste, Francesco Cito spiega l’ago della bussola che lo muove, che l’ha mosso da quando, poco più che ventenne, comprò la sua prima Nikon F2 e si faceva le ossa a Londra, mantenendosi con lavoretti ai magazzini Harrod’s o nei night club.

La frase che spiega tutta o quasi l’opera di Cito dice così: “Mi attrae soprattutto l'uomo in tutte le sue forme, difficilmente ho delle fotografie dove non ci sia la presenza dell'uomo. Il paesaggio fine a se stesso, la cosiddetta natura morta, piuttosto che l'oggetto in sé, mi catturano fino a un certo punto, a meno che nel contesto non ci sia l'uomo o comunque una presenza vivente. Mi interessa che ci sia vita, pulsazione, movimento”.

Movimento, pulsazione, vita: una sintesi anche degli anni di Epoca, che è stato l’unico settimanale italiano a dare autentica dignità alla fotografia, intesa non come contorno o arredo di uno scritto ma come parte integrante di un racconto, a volte come racconto autosufficiente, con il testo a reggere giusto la coda di immagini parlanti. E’ lì che ho conosciuto Francesco Cito. Era un free lance, lo è sempre stato, allergico alle assunzioni: un professionista assolutamente affidabile (nel senso che non sarebbe mai tornato in redazione senza aver portato a casa il servizio per cui era partito) ma altrettanto biologicamente inadatto a essere inquadrato in qualcosa, fosse pure una redazione amata come quella. Amata sin da ragazzino, quando proprio su Epoca Francesco Cito si appassionava alle avventure del fenomenale Walter Bonatti. (guarda caso, foto e testo: in quest’ordine). Era una scuola, quella di Epoca. Ed era anche una squadra, non tanto di giornalisti quanto di fotografi. L’unico giornale italiano ad averne in staff, regolarmente assunti, una pattuglia imbattibile: Mauro Galligani, Giorgio Lotti, Nino Leto (quando c’ero io), e poi Mario De Biasi, Sergio Del Grande, Walter Mori, Vittoriano Rastelli. Il “Life” italiano diventò anche per Cito il porto migliore dove attraccare e da dove partire. Su quelle pagine ha pubblicato molte delle fotografie che ritrovate nei libri di raccolte a lui dedicati o a cui ha collaborato.

Quel giornale, Epoca, come sapete, non c’è più da tempo, morto molto prima che la crisi dell’editoria e la pigrizia degli editori ne certificasse la fine effettiva, 1997, a 47 anni di vita. Morto giovane, morto nello spirito prima che in edicola, afflitto da cambiamenti in qualche caso cervellotici che avevano la massima colpa di tradirne il Dna originario. Ogni giornale, come ogni essere umano, crescendo si evolve, cioè cambia. Ma se tradisce le proprie radici, il proprio Dna, è destinato a pagarla: perché la natura si ribella e i lettori non capiscono più. Non è questa la sede né il momento di ragionare sullo stato dell’editoria né di piangere lacrime inutili su quel che è stato e poteva ancora essere. (meglio ancora: potrebbe ancora essere). Amen, punto e a capo. E’ cambiata una civiltà, dalla galassia Gutenberg siamo passati alla galassia Zuckerberg.

Il che significa un’infinità di cose su cui non starò a tediarvi, tranne una: il cambio di una civiltà non cancella la qualità prodotta in quella precedente. Semplicemente, la trasporta. E non come testimonianza o memento di come eravamo, non come omaggio, ma come fermento fertile e fecondo per continuare a raccontare il mondo con uno sguardo capace di coglierne le nuove, e altrimenti incomprensibili, dimensioni.

Penso che Francesco Cito sia un buon esempio di una persona che ha dedicato la vita a raccontare il mondo. E a raccontare mondi che cambiano. La sua cifra stilistica è la pulizia, l’essenzialità dell’immagine, l’assenza di orpelli o di disturbi. E dietro questa apparente linearità, dietro l’assenza di effetti più o meno speciali, c’è una potenza emotiva che ti arriva addosso persino in una scena nuziale.

C’è qualcosa di più moderno, di più contemporaneo, di questa scelta? Se guardate la finestra con cui si apre il più grande motore di ricerca dell’universo, cioè Google, vi renderete conto che l’essenziale è la vera cifra anche del tempo rivoluzionato che stiamo vivendo: una pagina bianca, un rettangolo per digitarci dentro qualsiasi cosa, una scritta a colori sopra. Stop. Ma l’algoritmo nascosto che muove e indirizza le vostre ricerche è una delle cose più complesse ed efficienti che mente umana abbia concepito. Un enorme motore dietro una facciata francescana. L’unica differenza è che in Google non c’è amore né sentimento. Nel piccolo-grande Cito sì. State qualche minuto davanti a una delle sue immagini, il vostro cuore comincerà a battere diverso, e il sangue a fare le bolle. Ci ha messo pazienza lui a costruire quelle visioni con il motore della passione nascosto dentro, dietro; mettetene un po’ anche voi, di pazienza, per guardare e lasciare che la potenza nascosta vi tocchi, dall’occhio, l’anima.

Tra i tanti lussi che sicuramente si è negato nella vita, Cito uno se l’è concesso: la libertà di scegliere. Per esempio, il bianco e nero invece del colore. Lui la spiega così: “Sembrerà strano ma all’inizio fotografavo a colori. Poi ho capito che il colore falsa un po’ le regole, nel senso che chi guarda finisce per essere attratto più dal contesto generale che dal soggetto. In generale, il bianco e nero è più difficile, non ti consente scorciatoie, pretende che tu crei una costruzione senza trucchi né inganni, non ti lascia margini di aggiustartela”. Francesco Cito è uno che non se l’è aggiustata proprio mai. E’ il suo enorme pregio, il suo marchio di fabbrica ma anche, e lo dico da fratello, il filo sottilissimo e instabile che s’è scelto per camminare a cento metri di altezza, sospeso tra i grattacieli della vita. Fosse stato un po’ più furbo, si fosse “adattato” un po’ di più al mercato e ai mercanti, godrebbe anni infinitamente, ed economicamente, più sereni. Ma ognuno è quel che riesce ad essere e i buoni consigli, giustamente, se li attacca.

Quello che è certo è che Francesco Cito ha aiutato il giornalismo italiano ad essere migliore. Per questo, all’inizio, toglievo quelle quattro lettere: giornalista invece di foto-giornalista. Penso che la differenza tra usare il linguaggio verbale e quello visuale sia nell’abilità di chi racconta, non nel mezzo che usa. Se dovessi scegliere, tra mille, una sua immagine da appendere nella mia camera più segreta, prenderei quella intitolata “La sposa e la sorella”, scattata a Napoli nel 1994, vent’anni fa. Vale da sola, per intensità e verità, un bestseller di Saviano sul Sud o uno studio di Alberoni, Mancuso o Recalcati sui meccanismi misteriosi dell’amore. La parola si rassegni."

Carlo Verdelli

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