La fotografia come mezzo di denuncia
La mostra raccoglie opere che fanno parte di differenti ricerche accomunate dall’approccio e dallo stile che caratterizzano Silvia Amodio. Se a molti, infatti, può sembrare semplice realizzare un ritratto, sarà poi osservandolo che si comprenderà quanta delicatezza e perizia ci vuole per ottenere quel qualcosa di straordinario che nasce dalla capacità di cogliere la normalità. Lo si nota subito in “Volti Positivi, Sudafrica, un viaggio per ripensare l’Aids” dove bastano un telo bianco per lo sfondo e una macchina fotografica per raccontare storie di intensa umanità. L’autrice ha realizzato il progetto nelle periferie di Città del Capo, una delle zone dove l’Aids miete più vittime. L’uso del bianconero evita ogni spettacolarizzazione restituendoci ritratti molto intensi grazie all’empatia che la fotografa ha stabilito con ogni persona che può così mostrare quanto di più profondo possiedono: la rispettabilità, la forza, la voglia di guardare la vita con un sorriso di speranza.
Scattato anch’esso in bianconero e accompagnato dal documentario “Un’altra infanzia, I ragazzi del Manthoc” è stato realizzato in Perù e ha lo scopo di far conoscere la condizione dei bambini lavoratori. I piccoli che si mettono in posa davanti all’obiettivo, che scrutano la fotografa con sguardi intelligenti e che le sorridono, fanno parte di un programma nato per regolamentare il lavoro minorile in un paese dove è impossibile estirparlo. Basti pensare che i minori contribuiscono quasi al 20 per cento dell’economia familiare. Silvia Amodio, ancora una volta, pone i suoi soggetti al centro dell’attenzione con il rispetto che caratterizza il suo lavoro.
“Fuori dall’ombra” invece è realizzato in forma multimediale e raccoglie le testimonianze delle vittime dei preti pedofili. Un lavoro complesso e difficile considerata la drammaticità del tema. Per la prima volta le vittime di tutto il mondo hanno accettato di prendere parte ad un progetto di questo tipo sfilando davanti all’obiettivo della fotografa e raccontando le loro storie. E’ qui che Silvia Amodio dimostra di saper coniugare la fermezza della denuncia alla delicatezza di uno stile che non esce mai dai confini della compostezza.
I ritratti di “Tutti i colori del bianco”, infine, sono parte di un’indagine, svolta in Europa, sulle persone affette da albinismo, una condizione genetica che conferisce quella caratteristica depigmentazione della pelle, dei capelli e degli occhi. Una malattia rara, ma diffusa in tutto il mondo in misura molto variabile. Come sempre attenta a coniugare aspetti estetici ed etici, la fotografa propone immagini espressive, eleganti, garbate il cui compito è anche quello di sensibilizzare su questo argomento. In Africa le persone albine sono perseguitate e spesso uccise, la situazione nel nostro paese non è così drammatica, eppure da questo lavoro emerge che la diffidenza e la paura nei confronti di un’alterità che non si conosce è un problema trasversale. Alternando a primi piani particolarmente incisivi, figure intere di singoli o di gruppi, Silvia Amodio realizza fotografie cariche di una intrinseca bellezza.
Testo a cura di Roberto Mutti
Scuderie Granducali | 18 aprile - 5 maggio 2013 | dal giovedì al sabato 15.00-20.00 e la domenica e il 25 aprile e il 1 maggio 10.00-12.00 e 15.00-20.00