Il mondo sta muovendosi con grande velocità, i paesi e le terre cambiano continuamente, crescono, si evolvono e sovente si uniformano diventando sempre più simili tra loro, un effetto inesorabile della globalizzazione mondiale.
Visitando l'India e in particolare modo i suoi territori meno turistici di questa immensa Repubblica asiatica, ci si rende conto che esistono ancora dei luoghi dove questo processo di standardizzazione non riesce ad attecchire molto facilmente, Old Delhi, Lucknow, Agra ed Allahbad sono senza dubbio alcuni di questi.
Le giornate iniziano molto presto in India, ancora prima del sorgere del Sole la gente inizia a formicolare in un caos paradossalmente ordinato tra i vicoli trasandati, mentre, nei luoghi sacri, c'è chi ha già iniziato i rituali sacri.
Percepire queste atmosfere ascetiche è un'esperienza che aiuta molto ad immergersi nella spiritualità di questo popolo che si divide in una sottile e delicata armonia variegata da credi religiosi così diversi tra loro che comprendono in ordine di diffusione Induisti, Musulmani, Cristiani, Sikh, Buddhisti e Giainisti.
I fumi, i suoni e lo scandire della vita locale ti trascinano in un turbinio di sensazioni molto lontani dalla cultura occidentale, uno scivolare verso una nuova dimensione che in principio è quasi difficile avvertire, ma che lascia una traccia indelebile dentro di te.
Allahabad, è una città che sorge proprio dove i fiumi sacri Gange e Yamuna si uniscono e che ogni dodici anni diventa scenario dell'evento religioso Indù capace di coinvolgere ed attirare qualcosa come cento milioni di pellegrini nell’arco di 55 giorni per prendere parte al Maha Kumbh Mela.
Sono ben venti i chilometri quadrati che vengono letteralmente invasi dalle tende che ospitano la moltitudine di gente che giunge con un unico importantissimo scopo, quello di bagnarsi nel Sangam per raggiungere la purificazione.
Sangam è il nome che definisce il luogo esatto dove i due fiumi sacri confluiscono tra loro riversandosi spiritualmente in un terzo corso d'acqua mistico, il Sarasvati, il possente fiume dalle acque creatrici, purificanti e nutrienti.
Il mito racconta che nell'antichità un vaso (Kumbh) contenente il nettare divino dell'immortalità venne conteso in una battaglia estenuante tra angeli e demoni. E' così che alcune gocce caddero in tre distinti punti dell'India, una di queste proprio nel punto descritto poc'anzi rendendolo sacro e dalle proprietà miracolose per gli indù.
Appena si giunge in questa pianura lo spettacolo che si presenta è a dir poco stupefacente, una distesa infinita di tende colorate si propaga a perdita d'occhio. Un continuo sottofondo di preghiere recitate e diffuse attraverso altoparlanti dai vari Guru e le melodie tipiche echeggia continuamente, giorno e notte.
Le attività e le abduzioni dei pellegrini sembrano non trovare mai sosta. Ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, c'è sempre qualcuno che si immerge nelle acque sacre.
E’ dunque questo un evento religioso che avviene con una cadenza temporale così ampia tale da ricordare l'effimero significato e la brevità della vita umana posta in relazione al così immenso cosmo, vivere la vita come un privilegio e non come un diritto...

Ogni scatto è un frammento che si porta dietro la eco di quanto si è provato in un determinato momento, e con il passare del tempo, la visione di queste schegge temporali riporta a galla emozioni e ricordi che possiamo riassaporare e approfondire grazie alla coscienza rinnovata e impreziosita del dopo.
Il fiume sacro Gange è dove ogni induista desidera affidare le proprie ceneri una volta terminato il ciclo vitale, successivamente alla cremazione, un rituale che viene compiuto esclusivamente dai familiari diretti coinvolti dal lutto, una cerimonia che è assolutamente vietato fotografare, si teme che l’anima del defunto non riesca a separarsi definitivamente dal corpo vedendone l’immagine.
Sono rimasto affascinato dall'atteggiamento tutt'altro che passivo da parte degli induisti verso la morte.
L'atto della cremazione viene vissuto come una compartecipazione da parte dei familiari che allestiscono la pira, e successivamente ne curano la combustione.
In questo modo salutano la conclusione di un ciclo senza lasciarsi sopraffare dall'amarezza e dalla tristezza, due sentimenti che vengono esorcizzati con l'antico atto del bruciare.